The Battered Bastards of Baseball
“The Battered Bastards of Baseball”. Una favola “anarchica” americana
di Ignazio Gori
D’accordo, è un prodotto Netflix e so quanto i cinefili ne prendano le distanze, ma di recente ho scoperto dei piccoli tesori su questa piattaforma dall’enorme seguito popolare e non ultimo vorrei consigliare “Ma Rainey's Black Bottom”, film di George C. Wolfe sulla vita della leggendaria e burrosa cantante blues Ma Rainey, interpretata da una straordinaria Viola Davis. Davvero imperdibile. Così come imperdibile è il documentario “The Battered Bastards of Baseball”, diretto dagli arrembanti fratelli californiani Chapman & Maclain Way, da seguire anche nei loro lavori prossimi futuri. Senza escludere “No No: A Dockumentary” diretto da Jeff Radice, sulla storia dell’icona afroamericana Dock Ellis, “The Batterd Bastard of Baseball” - standing ovation al Sundance Film Festival 2014 – è senz’altro tra i top documentari sul baseball degli ultimi vent’anni. Si tratta di una autentica favola americana quella scritta tra il 1973 e il 1977 dai Portland Mavericks, squadra indipendente della Nortwest League, fondata e gestita dal folle e vulcanico Bing Russel (una specie di Luciano Gaucci del baseball), attore e padre del più famoso, a livello internazionale, Kurt Russel (stracult i film diretti da John Carpenter: “1997: Fuga da New York”, “Grosso guaio a Chinatown” e “Fuga da Los Angeles”). L’unica epopea eroica capace di esprimere la società americana è ed è stata quella sportiva e di storie incredibili ce ne sono a bizzeffe. Anche se questa è davvero speciale. L’avventura stravagante dei Portland Mavericks ha impresso nel ricordo degli appassionati sportivi l’emblema della rivincita degli underdogs, degli eterni underrated, dei sottovalutati, dei reietti della società, che ribaltano ogni previsione, fino a creare una sorta di fenomeno febbrile atto a dar fastidio ai piani alti, politici e moralistici, del baseball professionistico organizzato. Nel documentario, un collage di filmati d’epoca e interviste montate con un ritmo pressoché perfetto, spicca il contributo di Kurt Russel che emozionato rievoca la storia di suo padre Bing (1926-2003), un uomo pazzo per il baseball, sport che lo aveva segnato sin dall’infanzia, quando era stato la mascotte dei fortissimi New York Yankees degli anni ’30, la squadra del mortifero lanciatore mancino Vernon “Lefty” Gomez. Anche per le sue doti di cavallerizzo, molto richieste nei film di genere, Bing riuscì ad entrare nel mondo del cinema hollywoodiano. Kurt lo definisce scherzosamente un attore “idraulico”, nel senso che andava a tappare la falla, il buco, la perdita, in qualsiasi produzione lo richiedesse. Grazie a questi ruoli minori (da “caratterista” si diceva un tempo, termine ora in disuso), gli appassionati lo possono vedere o intravedere in innumerevoli western di serie B, ma anche di serie A, come in “Un dollaro d’onore” di Howard Hawks, con il mitico John Wayne o in “I magnifici 7” di John Sturges con il cast stellare che tutti gli appassionati conoscono a memoria: Yul Brynner, Eli Wallach, Steve McQueen, Charles Bronson, Robert Vaughn, James Coburn e Horst Buchholz. Wow! Ma c’era una sola cosa a tenere alto il morale di Bing durante i suoi anni nel cinema: il sogno del baseball. L’occasione arrivò nel 1973 quando, in una operazione molto coraggiosa per l’epoca, l’attore finanziò di tasca sua – circa 6000 dollari – una squadra indipendente, ovvero non affiliata a un club di Major Leagues, come era regola nel baseball americano. In sostanza una squadra di “cani sciolti”, “anticonformisti” (maverick significa proprio “anticonformista”). La città scelta fu Portland, in Oregon, stato nel nordovest dell’Unione, una città che aveva perso una squadra da poco e che si sentiva orfana del baseball. Nacquero così i Portland Mavericks, la prima squadra indipendente nel baseball delle leghe minori, di livello A, equivalente alla quarta serie nazionale. Si organizzarono dunque dei provini per reclutare i giocatori. Bing e i suoi collaboratori pensavano di dover scegliere fra pochi coraggiosi, invece accorsero a Portland più di trecento persone, di ogni razza e religione, da tutto il paese, alcuni anche dopo estenuanti viaggi di giorni e giorni, su traballanti Greyhound. Giocatori falliti, disoccupati, ex galeotti, ragazzi che sognavano da piccoli di calcare il diamante ma che non avevano avuto chance, hippies, scavezzacollo, di tutto. Dopo molti giorni di selezione, una squadra unica nel suo genere prese forma e Portland presto se ne innamorò così tanto che i Mavericks fecero registrare nelle cinque loro stagioni agonistiche il record di spettatori per una squadra di baseball di lega minore, con una media record di 4.000 spettatori, finendo sotto i riflettori delle testate nazionali e delle televisioni. Kurt Russell, anch’esso giocatore della squadra (nella foto allegata ritratto in una figurina per collezionisti) racconta con gli occhi lucidi che i Mavericks giocavano davvero col cuore. Quei ragazzi volevano dimostrare ai piani alti delle Major Leagues che i giudizi degli scout erano errati, perché come recita un motto del baseball: ci sono bugie, grandi bugie e poi ci sono le statistiche! Tra i personaggi più folli passati in quei cinque anni nella squadra di Bing Russell troviamo il manager Frank “The Flake” Peters, un ex giocatore arrestato per possesso di stupefacenti e abusi sessuali. Il tuttofare Joe Garza, un vero giocherellone. Il lanciatore ex Yankees Jim Bouton, boicottato perché autore del “libro nero” del baseball, il bestseller “Ball Four”, dove rivela tutti i retroscena, i segreti e le magagne del mondo del baseball professionistico. Rob Nelson, l’inventore della “Big League Chew”, la gomma da masticare filamentosa, divenuta per anni un must per i professionisti. Il grande ruba-basi Reggie Thomas. E poi Bob “Shark” Edwards, il simpaticissimo nippo-americano Jon Yoshiwara e per finire il batboy, ovvero il “raccattamazze”, Todd Field, poi divenuto attore, (lo ricordate in “Eyes Wide Shut” di Kubrick?), la mascotte della squadra. Insomma quella gabbia di matti dei Mavericks, apprezzati e osannati a livello mediatico anche dal famoso commentatore e giornalista Joe Garagiola – proprio quello finito nei Peanuts, amico d’infanzia dell’incomparabile Yogi Berra – nonostante quattro titoli divisionali conquistati in cinque stagioni, non riuscirono a vincere mai la Northwest League (tre rocambolesche finali perse) e molti la ritengono la migliore squadra di tutta la storia delle leghe minori di baseball a non aver vinto un campionato, perché i veri fans del baseball (come me), quelli che soffrono, lo sanno, questo sport è talmente strambo e imprevedibile che spesso non vince la squadra migliore. Ma forse questo dato non è così importante. Ciò che occorre ribadire invece è il livello di giuoco raggiunto dalle “giubbe rosse” di Portland, cresciuto talmente tanto e velocemente che le altre squadre iniziarono a reclutare giocatori di serie superiori solo per non farsi umiliare. A cominciare dall’anarchico Bing Russell, i Mavericks erano scomodi per il Sistema, per l’establishment del baseball organizzato, perché fautori di un nuovo tipo di ideale organizzativo; erano un razzo sparato a infrangere le speculazioni territoriali, basate solo sul marketing, esercitate dalla Major League e, come Bing ben sapeva, l’amore puro per il gioco in tutto questo non c’entrava proprio nulla. Questo club è stato una meteora luminosa a metà degli anni ’70, proprio a cavallo di quel cambiamento che ha portato lo sport professionistico americano a cambiare radicalmente, passando da lavoro poetico ed eroico a freddo business; è stato un esempio puro di come l’amore per lo sport possa sovvertire le regole economiche. Questo fenomeno anarchico “pericoloso” – nella visione americana chi va contro il Sistema è sempre pericoloso, a prescindere (Sacco e Vanzetti?) – impensierì talmente tanto i signoroni dei piani alti che le Major Leagues piazzò in fretta e furia una sua affiliata a Portland – i Beavers, trasferiti nel 1972 e ricostituiti nel 1978 – costringendo i Mavericks a sciogliersi. Ma Bing Russell, con la sua tenacia, in un processo che ha creato un precedente giuridico, riuscì a farsi risarcire dalla lega della cifra record di 206mila dollari! Ne aveva investiti 6mila e ne aveva ricavati 200mila! D’altronde è giusto risarcire chi ha fondato le basi per un mercato sportivo ove non c’era. Uno smacco storico. Bing Russell, l’attore dei western di serie B, il sognatore anarchico del baseball, aveva fatto strike ai cinici padroni milionari delle Major Leagues! PS: Bing Russell fu un vero innovatore. Fu il primo ad assumere una donna come general manager di una squadra, e negli anni 70, in uno sport maschilista come il baseball, questo era impensabile e addirittura istruì un cane a raccogliere le mazze lasciate in campo dai giocatori. Un mito! PPS.I Portland Mavericks sono stati ricostituiti come squadra indipendente nel 2021, ma una squadra come quella degli anni ’70 sarebbe impensabile nel baseball odierno. Anche le favole d’altronde sono irripetibili.
Scheda tecnica del film The Battered Bastards of Baseball USA, 2014 Genere: Documentario Durata: 80' Regia: Chapman Way, Maclain Way Produttore: Juliana Lembi Musiche: Brocker Way Distributore: Netflix