Giocatore italiano

Cherubini Paolo


Nato a Bollate (MI) il 18 giugno 1952. Lanciatore della Fiorentina, 14 anni di attività in serie nazionale. Cresciuto nel Bollate ha esordito nella massima divisione a Bologna il 5-4-1970 in Montenegro-Bollate 0-5. Nel 1978, dopo otto stagioni in maglia bollatese, è passato al Milano, che lascerà nel 1981 per trasferirsi al Parma. Nel 1984 torna al Milano per una sola stagione e viene ingaggiato dalla Fiorentina l’anno successivo. Campione d’Italia con la Parmalat nel 1981 e nel 1982, Cherubini ha vinto per due volte anche la Coppa dei Campioni, nel 1981 e nel 1983 sempre con i colori parmigiani.

Arriva a Rimini in età matura, ma il fisico tiene e il braccio ancora gira, così il suo contributo ai Pirati c’è, anche se in quel periodo – siamo a metà anni Novanta – il ‘batti e corri’ locale non attraversa un gran momento. Ad animarlo c’è la solita, infinita passione per questo gioco. Un amore trasmesso al figlio Tommaso, pure lui lanciatore. In nazionale Cherubini vanta 25 presenze e la partecipazione a due campionati europei (Barcellona 1975 ed Haarlem 1981), due mondiali (Tokio 1980 e Avana 1984) e due coppe intercontinentali (Parma 1973 e Montreal 1975). Con la maglia azzurra è stato dunque campione d’Europa nel 1975 e nel 1991

Muore a Rimini il 19 ottobre 2019.

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Elia Pagnoni su Paolo Cherubini:

E’ difficile pensare qualcuno che abbia vissuto il baseball più intensamente di Paolo Cherubini. Perché lui da quando se n’è innamorato, nel cortile della sua casa di Bollate, non è mai riuscito a staccarsi un attimo da questo sport. Per farlo smettere è servito un colpo al cuore a tradimento, quel cuore che era rimasto sui diamanti per sessant’anni, tra gioie e tormenti di un uomo che voleva fare il vecchio saggio ma era rimasto un eterno bambino. Perché Paolo era fatto così, di grandi entusiasmi e di un cuore generoso e sincero, anche quanto la mente voleva essere polemica, anche quando si metteva a battagliare sui social per difendere le sue idee, per criticare chi, secondo lui, non stava facendo il bene del baseball.

Se n’è andato contrariato dall’idea che suo figlio Tommaso, per cui stravedeva, avesse deciso di smettere di giocare o, come sosteneva Paolo, fosse stato costretto a prendere questa scelta da un baseball che ormai trova sempre meno spazio per i talenti italiani, soffocando le ambizioni dei ragazzi che lottano per un posto soprattutto sul monte di lancio. Ce l’aveva col baseball moderno, dimenticando forse che anche lui aveva dovuto lottare per conquistare un posto al sole in un’epoca in cui erano arrivati i primi pitcher oriundi e poi anche i primi stranieri. Eppure lui, con quella palla che fischiava, e che ha fatto fischiare nel suo immaginario fino a ieri, è riuscito a vincere quella sfida, restando sul monte di lancio fino a un’età impossibile, facendo gli ultimi strike out in serie A1 addirittura nel 1998, con qualche inning ancora nel Milano, a 47 anni. Dopo aver girato mezza Italia, da Bollate al Kennedy, da Parma a Firenze, da Novara a Rimini, la città che alla fine aveva scelto per vivere, per motivi di famiglia, lasciando però il cuore a Milano e a Bollate. Un Paolo Cherubini che non ha sfigurato nemmeno negli anni in cui i big della serie A1 si chiamavano Olsen o Falcone, Waits o Galasso, Remmerswaal o Lono, Gioia o Farina. Anzi, oltre a vincere quello che ha vinto con il Parma (2 scudetti e 4 coppe dei Campioni) e con il Milano (2 coppe Italia, 2 coppe delle Coppe e una Supercoppa), è andato a raccogliere gloria anche in Nazionale con due titoli europei lontanissimi uno dall’altro, nel 1975 e nel 1991 quando, a 39 anni, fu uno dei protagonisti della fantastica galoppata contro l’Olanda a Nettuno che regalò agli azzurri la qualificazione alle Olimpiadi di Barcellona. Quei Giochi che Paolone avrebbe meritato e che invece poi restarono il suo rimpianto perché forse allora era impensabile andare alle Olimpiadi con un pitcher di 40 anni…

Lui, Paolone, che ai Mondiali di Tokyo dell’80, assieme a Steve Rum, finì sui taccuini degli scout giapponesi che l’avrebbero voluto nel loro campionato come closer. L’oriundo firmò, lui preferì tornarsene a lavorare in banca. Eppure anche Cherubini arrivò a un soffio dal lasciar perdere tutto, perché nel ’76, tradito dal mal di spalla, non trovava più spazio nel Bollate e aveva deciso di smettere. Ma l’anno dopo Gigi Cameroni, che l’aveva allenato nella grande Norditalia del ’72-73 e nel frattempo era rientrato al Milano, decise di andarsi a prendere questo ragazzo dato ormai per finito (a 24 anni…), ma in cui credeva ciecamente. Tanto che il Gigi riuscì a ricostruirlo prima mentalmente e poi fisicamente, fino a tirarlo a lucido per il momento in cui il Milano riconquistò la prima serie nel ’79. E da quel momento cominciò la seconda vita di Paolone, che fu sempre riconoscente a Gigi come a un secondo padre: nell’80 fu tra i migliori pitcher della serie A1 e Guilizzoni lo chiamò nuovamente nel giro azzurro . Non solo, ma da quella stagione spiccò il salto verso Parma dove si conquistò la stima e l’affetto di un pubblico abituato a grandi campioni.

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