Giocatore italiano

Glorioso Giulio


E’ stato indubbiamente il più grande del mound, il re dello strike out, Giulio Glorioso,  agli inizi degli anni 50, cioè all’avvento del baseball in Italia, aveva un braccio poderoso che era la conseguenza di un’intensa attività sportiva ed il frutto di una passione che pochi altri hanno avuto. Professionale da cima a fondo, Glorioso, un friulano che mise le radici a Roma, era così “fanatico” da rinunciare anche al bicchiere di vino per non rovinare il proprio peso forma optando per l’americanissimo bicchiere di latte. Nemico del fumo e di altri vizi, il popolare Giulio aveva cominciato a giocare

Nato a Udine il 4-1-31. In gioventù praticò atletica leggera ed altri sport realizzando a quindici anni nel salto in alto 1,65 m. Scoprì il softball nella capitale praticandolo nelle file della Gilda. Nel ’48 gioca nei Ferrovieri ed è uno dei protagonisti nella sfida contro l’Ambasciata americana, incredibilmente battuta. Dick Leone, il tecnico americano della Lazio che individua in lui le doti di campione, lo chiama nella sua squadra. Glorioso inizia come esterno, ma un mese dopo, in campionato, è lanciatore e protagonista del magnifico torneo della Lazio. L’8-7-51 realizza la sua prima no-hit, no-run contro il Monza. Fa parte della prima nazionale e il 31 agosto affronta la Spagna. Vincitore del premio Wilson quale migliore giocatore della stagione. Dopo l’esperienza negli Stati Uniti ritorna in Italia e diventa l’uomo della leggenda. Nel 1960 realizza un’altra no-hit contro l’Olanda ma la sua impresa non basta, l’Italia è battuta. Ha giocato, oltre che nella Lazio, con Nettuno, Parma, Milano e Roma. Miglior lanciatore del campionato nel: ’59 (Roma: 0.68), ’61 (Europhon 0.46), ’62 (Europhon 1.27), ’63 (Nettuno 0.68), ’64 (Nettuno: 0.81), ’66 (Tanara: 1.65). Ha ottenuto il maggior numero di strike out del campionato nel: ’53 (Lazio: 99), ’54 (Lazio: 142), ’55 (Lazio: 134), ’57 (Lazio: 112), ’59 (Roma: 146), ’60 (Roma: 201), ’61 (Europhon: 218), ’62 (Europhon: 164), ’63 (Nettuno: 166). Le sue medie vita sul monte di lancio: PV 235, PP 83, SO 2884, BB 943, BVC 1699, RL 2706, MPGL 1.90. In battuta: alla battuta 1784, BV 512, P 384, 2B 75, 3B 6, HR 45, PBC 285, BR 112, MB .287. Glorioso è risultato il miglior battitore del campionato: nel ’60 (Roma .423) e ’61 (Europhon .444).

Ha vestito per 68 volte la casacca azzurra.nel ’49 dapprima come esterno e poi trovando la sua giusta collocazione sul mound. Aveva un tiro davvero potente, una specie di sberla capace di piegare il guantone del catcher ma non sempre le mazze degli avversari. Allora la potenza aveva la prevalenza sullo stile o sulle curve, specialità questa che sembrava riservata a Romano Lachi. Erano tempi artigianali quelli per il baseball italiano; per specializzarsi occorreva conoscere a fondo l’inglese, studiare e aggiornarsi su rari testi tecnici che rimbalzavano dagli Stati Uniti. Glorioso contribuì all’evoluzione tecnica del gioco rifinendo i particolari, creando uno stile da lanciatore prettamente nostrano. Non più le infarinature che sorreggevano tanti lanciatori, non più l’approssimazione che consentiva ad ottimi pitcher di inchiodare le più pericolose mazze avversarie. Secondo gli esperti dell’epoca, Glorioso aveva un lancio sgraziato, potente ma impreciso e soprattutto poco vario. Molte palle dritte arrivavano dall’alto e, ad alcuni, non facevano alcun effetto. Studente di legge, nativo di Udine (1931), Giulio aveva iniziato giocando a softball ed esordì sedicenne nelle file della Gilda che disputava la seconda divisione. A Glorioso era bastato assistere ad alcune esibizioni dei soldati per innamorarsi a prima vista del gioco, lui che era un appassionato di tante altre discipline ma non aveva ancora scelto quella di base. Nel ’48 nelle file dei Ferrovieri, sotto la direzione del dottor Mario Materassi, Giulio scopre compagni come Lachi, Rizzo, Di Mascolo, partecipando al torneo Nazionale e alla Coppa America, sempre come esterno sinistro. Diventa giocatore di baseball nel 1949 anche se si concede ancora prestazioni nell’altro gioco, come, ad esempio, quando è fra i protagonisti del clamoroso successo della rappresentativa romana di softball che batte l’American Embassy All Stars (3-1). Una cosa inaudita per quei tempi.

E’ Dick Leone, il forte tecnico americano, ad intuire in lui le doti del lanciatore; dopo aver ammirato alcune sue assistenze dagli esterni, lo sposta sul mound e se lo comincia a lavorare. Un mese dopo, con l’inizio del campionato, Leone schiera Glorioso come lanciatore e la Lazio, stagione 1951, ottiene risultati superiori ad ogni aspettativa. La migliore performance di Giulio avviene l’8 luglio 1951, quando realizza la sua prima no-hit, no-run a Monza contro i Brianzoli. Scende in campo a Roma il 31 agosto nella prima nazionale, quella che affrontò la Spagna e venne riconosciuto come uno dei migliori in campo. Oramai è così bravo che un referendum tra i giornali lo indica come il giocatore più utile della serie A. Si tratta di una iniziativa della Transocean Italiana, distributrice dei prodotti sportivi della Wilson Sporting Goods Company che ricalca in pratica le iniziative di moda negli USA. Glorioso vince un premio di 30mila lire in titoli di stato oltre che una Coppa. Dai 35 giocatori iniziali si passò ad uno spareggio che ridusse i potenziali “campioni” a sei. Glorioso conquistò 5 dei 14 voti disponibili per il primo posto con un totale di 90 punti battendo Marcucci, ricevitore del Nettuno e Franco Tavoni del Bologna; in quarta posizione, Rizzo catcher della Libertas Roma, quindi Tagliaboschi, lanciatore del Nettuno poi Sandulli (esterno della Lib. Roma), Camera (interbase della Roma), Lachi (stessa squadra), Mantovani (esterno del Bologna), infine (Biro) Consonni lanciatore del Monza. Nomi che sono entrati nella leggenda del baseball ed ai quali noi tutti dobbiamo tanto per l’oscuro lavoro svolto in quegli anni di appassionato pionierismo.

La trasformazione di Glorioso avviene grazie all’esperienza americana, quando ritorna dagli Stati Uniti è praticamente un altro giocatore. Gli erano bastate poche settimane nel vivo del baseball vero per migliorarlo, per dargli modo di potenziare il suo lancio che ora è di tre quarti, a volte laterale, la fucilata si sviluppa con un “hop” verso l’alto. Centrare la pallina diventa difficile per tutti. Nel ’60 affronta l’Olanda, gli azzurri perdono ma Giulio è formidabile: non concede alcuna valida, registra un’altra no-hit, una delle più prestigiose della sua carriera. Il passaggio nelle file dell’Europhon contribuirà a “nazionalizzare” la leggenda di un lanciatore che aveva già indicato nel nome il suo possente futuro. Con lui sul mound era inevitabile che una squadra si sentisse trascinata verso il successo, verso lo scudetto. E dove andava Glorioso in effetti puntualmente arrivava il titolo tricolore. Unica eccezione, Parma, anche se l’allora Tanara arrivò allo spareggio con gli irriducibili avversari milanesi condotti da un altro leggendario personaggio, Gigi Cameroni. Con quasi dieci strike out di media per gara, con un pgl vita di 1.50, Glorioso ha scritto una delle pagine più belle del baseball italiano ed azzurro. Le stagioni a cavallo degli anni 50 e 60 sono state le migliori, quando cioè ha lanciato per oltre mille riprese per campionato ripetendosi nel 1970. Il traguardo dei 200 eliminati al piatto l’ha realizzato nel ’61 quando più possente volava la sua palla a seminare dubbi e timori nel box di battuta.

INTERVISTA A GIULIO GLORIOSO

All’epoca era considerato l’ago della bilancia del campionato. Dove c’era lui si vinceva; ed infatti fu così dal 1962 al 1965. Giulio Glorioso viene considerato tuttora, non a torto, uno dei migliori giocatori della storia del baseball italiano. Al baseball è ancora legatissimo, visto che fa parte della dirigenza della Lazio Baseball. Gli abbiamo posto qualche domanda.

Come avvenne la trattativa che portò Glorioso a Nettuno?

“Trascorsi due anni a Milano, dove il baseball si giocava sui campi di calcio, senza “monte”. Mi venne offerta l’opportunità di giocare nel nuovo campo comunale che era in costruzione ed anche di allenare il Nettuno, un’ipotesi prospettata dal professor Franco De Vitis, ex segretario generale della Fipab dal 1953 al 1961 e da Carlo Luzi, terza base “azzurro” in forza al Nettuno. Fu un’offerta irresistibile…”

Che differenza c’era tra giocare a Roma, in una metropoli dove il baseball passava quasi inosservato, e in una cittadina dove rappresentava praticamente tutto?

“La differenza tra Roma e Nettuno l’ha sempre fatta e la fa ancora il calore del pubblico nettunese. Nonostante prima mi vedessero come un avversario, quasi un nemico, venni accolto con il rispetto dovuto da nuovo allenatore e sempre con il massimo impegno sul campo”.

Cosa ricorda della sua prima partita con la maglia del Nettuno?

“Non sono certo che fosse la prima partita, ma del 1963, il mio primo anno a Nettuno, ricordo molto bene l’incontro a Milano con l’Europhon campione d’Italia del 1961 e 1962 (da due anni imbattuta, nda). Una bella vittoria per il Nettuno e mia personale nella scommessa con Gigi Cameroni, partner in azzurro agli Europei ’58 e poi con l’Europhon”.

C’era un ingaggio vero e proprio dal Nettuno Baseball, oppure riceveva solamente un semplice rimborso spese?

“Ricevevo un rimborso spese, e quello che più contava, avevo la fiducia del principe Steno Borghese guadagnata dal 1952 come “azzurro” e poi come “capitano” della Nazionale, in campo e nei rapporti con il baseball americano”.

Qual è il compagno di squadra del Nettuno che ricorda di più?

“Carlo Tagliaboschi, come avversario e come compagno di squadra, in “azzurro” e con i colori della Lazio 1967. Rivedo ancora il suo magnifico duello con le Furie Rosse agli Europei 1955 a Barcellona, chiuso 0-0 per oscurità, e ricordo il suo apporto al ritorno della Lazio in Serie A nel 1967, al quale diede un validissimo contributo come coach anche Mariano Casaldi, un altro lanciatore “azzurro” nettunese, campione d’Europa 1954”.

C’è un aneddoto particolare, magari divertente, di quel periodo con il Nettuno?

“Era il 1964, semifinale Coppa dei Campioni a Neuostheim. Partita tiratissima a ranghi ridotti e senza americani contro Mannheim di Claus Helmig. Il sostegno corale di un gruppo di operai meridionali per i campioni d’Italia di uno sport a loro “sconosciuto”. Vinse il Nettuno al 17° inning. Loro e noi, davvero “fratelli d’Italia”; eravamo tutti commossi, I nostri avversari, tedeschi e americani, molto meno…”.

Perché poi decise di andare via dal Nettuno?

“Ero stato ad un Camp dei Cincinnati Reds in Florida, come “chaperon” di Alberto “Toro” Rinaldi. Al rientro dagli Stati Uniti dovetti far restituire la divisa a Carlo Tagliaboschi “tagliato” all’insaputa del principe Borghese, senza che io ne fossi informato. Un “capolavoro”, proprio alla vigilia del passaggio ai doppi incontri domenicali del campionato di Serie A”.

Torna spesso a Nettuno?

“Non molto, di solito per accompagnare le giovanili della Lazio. Ma seguo con simpatia il Nettuno -in particolare Giuseppe Mazzanti- e mi auguro che la “Città del Baseball” non si arrocchi nella sua “franchigia Ibl”, ma guardi anche otremare e oltralpe. A Barcellona, Rotterdam, Regensburg, Parigi, Praga…Sulla via tracciata dal principe Borghese, fondatore della Federazione Europea”.

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