Giocatore italiano

Guilizzoni Giuseppe


(16-3-1938). Tra il 1952 e il 1965 ha militato per 9 stagioni nella massima serie nelle formazioni milanesi della Maglierie Ragno e della Pirelli. Nel 1965 si trasferisce a Novara, dove con altri amici, fonda il Novara BS, società di baseball & softball. Dal 1968 al 1993 ha ricoperto il ruolo di allenatore del Novara Baseball disputando 15 campionati in Serie A. Dal 1972 al ’78 ha ricoperto il ruolo di manager delle Nazionali Juniores e Cadetti, ottenendo tre allori agli Europei di categoria e una preziosa partecipazione al Mondiale IBAF disputato in Argentina. Dal 1978 al 1981 è stato manager della Nazionale Seniores riportando la vittoria nell’Europeo del 1979 e il 6° posto al Mondiale IBAF del 1980 in Giappone. Dal 1983 al 1984 ha ricoperto il ruolo di manager della Nazionale Juniores della Spagna con la partecipazione all’Europeo del 1984 disputato in Olanda. Dal 1985, per tre anni è stato manager della Nazionale maggiore spagnola, portandola alla prima storica qualificazione al Mondiale (Italia 1988), nonché nel 1997 al terzo posto nell’Europeo di Barcellona. Per due periodi, dal 1996 al 2004 e poi dal 2009 al 2016 è stato Consigliere Federale FIBS. Dal 1993 al oggi è il District Administrator per l’Italia della Little League International, associazione americana che si occupa di attività giovanili di baseball & softball nel mondo, con oltre tre milioni di giovani partecipanti. Dal 1990 al 1996 ricopre il ruolo di “envoy coach” della MLB, atto a insegnare baseball in Europa (presenze in Slovenia, Croazia, Ungheria, Spagna e Portogallo). Nel 1995 e 1996 ha ricoperto il ruolo di istruttore della Federazione Mondiale IBAF alla World Baseball Children Fair di Gifu City e Morioka (Giappone). Nel 1998 è stato ambasciatore della IBAF per il primissimo clinic di baseball in Iran (Teheran). Dal 2007 al 2012 è stato membro del Board of Directors della Little League International in rappresentanza della EMEA (Europa, Medio Oriente e Africa). Dal 2010 a oggi è membro della Commissione Tecnica della WBSC (World Baseball & Softball Confederation). Dal 2015 a oggi è il Delegato Tecnico WBSC nella FISU (Federazione Mondiale Sport Universitario). Dal 2016 a oggi è membro del Panathlon (sede Novara) in rappresentanza delle discipline del Baseball & Softball. Tra i maggiori riconoscimenti: Diamante d’Oro FIBS (1989), 25 Years Coaching Award (1987) conferito dalla ABCA (American Baseball Coaches Association), Stella di Bronzo del CONI (1998), Premio Umberto Barozzi (2003) conferito dalla UNVS (Unione Nazionale Veterani Sport Novara), 2005 Coach of the Year conferito dalla EBCA (European Baseball Coaches Association), Premio Andrea Gorla, una vita per lo sport (2012) conferito dal CONI-Novara e la Stella d’Argento del CONI nel 2015. Nel 2019 è stato indotto nella Italian Baseball Hall of Fame. 

*****

Ignazio Gori intervista Beppe Guilizzoni

Il baseball è una bella giornata che torna in primavera, che rifugge il maltempo e che si corica in autunno. (Beppe Guilizzoni) 

Il baseball ha riempito la sua vita. L’essere stato indotto nella Italian Baseball Hall of Fame ne è la prova concreta. Che tipo di “love affair” ha avuto con questo sport?

Non è semplice esprimere a parole una risposta a quesiti come questo. Cercherò dunque di farlo nel più comprensibile dei modi.                                                                                                                                    Vengo al mondo nel marzo del 1938 in quel di Roma (mamma e papa’ avevano ambedue radici molto solide sul lago Maggiore, ma papà era stato trasferito dalla sua impresa nella capitale per lavori alla stazione Casilina). Nel 1943  la ditta di papà si rifiutò di andare ad Anzio per costruire fortificazioni tedesche contro lo sbarco degli alleati, già previsto in quel luogo (!). Così scappammo letteralmente da Roma, abbandonando tutto – ahimè, anche il mio trenino in legno! – per stabilirci a Milano, dove papa’ fu incaricato di gestire i lavori di ripristino per la bombardata stazione centrale. Finita la guerra ci trasferimmo in via Morazzone, nel borgo degli ortolani, meglio conosciuto come la “chinatown” di Milano. Negli anni seguenti non c’erano molte alternative per i ragazzi: o andavi a destra o andavi a sinistra, e non mi riferisco solo ad indirizzi politici.  L’educazione datami da miei genitori e il baseball, che cominciai a praticare verso la meta’ degli anni ’50, mi portarono nella direzione giusta insegnandomi a perdere e a vincere con il giusto spirito sportivo. Imparai inoltre il gioco di squadra, ma anche a giocarmi tutto il destino da solo contro tutti, proprio come quando sei nel box di battuta. Questi insegnamenti sono un debito che non finirò mai di pagare.

E’ vero, o è una leggenda metropolitana, che da ragazzino, a Milano, vide in un cinema il film americano “Quando torna primavera” (It happens every spring, di Lloyd Bacon, 1949) e si innamorò del baseball a prima vista?

E’ assolutamente vero!  Proprio in via Canonica, e di lato al numero 3 di via Morazzone dove abitavo, c’era un grande spiazzo che altro non era che i resti di un cinema letteralmente azzerato da un bombardamento. Un grosso rettangolo in piastrellato, ex base del locale e un mezzo prato contiguo che era stato prima il cortile del caseggiato. Sul piastrellato si giocava a pallone, dopo le ore di scuola, molte  volte con una palla di stracci o anche con barattoli di latta schiacciati. Ebbene, il cinema fu ricollocato proprio di fronte, all’altro angolo della canonica con la via Cagnola, e fu chiamato ‘Cinema Rosa’ dove proiettavano due film per 120 lire. Un giorno proiettavano ‘Quando torna primavera’ con Ray Milland (scheda del Museo del Baseball a questo link: http://104.248.169.46/articles/quando-torna-primavera), cosi’ ci andammo. La trama raccontava di un chimico inventore di  un liquido che messo sulla palla da baseball faceva evitare il contatto con la mazza di legno. Quel gioco ci affascino’ molto. Affascinò me, affascinò Sergio Confalonieri che abitava al 5 della mia via, e affascinò anche Guglielmo e Mario Zugheri che abitavano al 7 della Morazzone. Fummo i primi del quartiere a provare a giocare questo gioco con le regole che avevamo creduto di capire guardando il film e utilizzando materiale di fortuna: una palla di gomma e come mazza un mattarello per preparare le sfoglie di pasta di Luciano, il cui padre aveva una panetteria in via Canonica. Si unirono poi Felice Foppa, Ugo Revelant, Carlo Bonfanti, Chan Yat, i gemelli Lucchini … ed altri che venivano da un po’ più lontano, ma sempre dal Borgo degli Ortolani.

Com’era la Milano del baseball di quegli anni?

Il ‘vero baseball’ lo apprendemmo qualche settimana dopo. Infatti un giorno passò in bicicletta in via Canonica, e si fermo’ a guardarci un certo Piero Brambilla che faceva il disegnatore di mestiere e giocava a baseball nell’Inter dei fratelli Mangini, squadra allora ai vertici del baseball milanese, insieme all’Ambrosiana di Lou Campo e al Milano del presidente Ghitti e di Gigi Cameroni. Piero ci porto’ il primo guanto, la prima mazza e soprattutto la prima pallina, la cui consistenza ci fece capire quanto fosse sbagliata la regola che credevamo di avere imparato, ovvero eliminare i corridori avversari colpendoli con la pallina quando non erano al contatto della base! Piero fu il vero costruttore dei ‘Leprotti Milano‘. Decidemmo questo nome per ricordare le carote trafugate in continuazione dai campi vicino a San Siro e che qualche volta offrivamo alle squadre avversarie, in sostituzione del classico mazzo di fiori.  Cominciammo col partecipare a tornei di softball maschile, ma presto passammo ai campionati di baseball e la storia dei ‘Leprotti‘ dice che stabilimmo un record forse mai eguagliato. Un intero campionato di serie C (finali nazionali  comprese)  senza perdere un partita, poi uno di serie B (finali nazionali comprese) ancora senza una sconfitta e così anche metà del successivo campionato di serie A. Due anni interi  senza perdere. La prima sconfitta (2 a 10) arrivo’ con il Pirelli dopo che nel primo inning i nostri primi due battitori avevano battuto un fuoricampo. Il baseball e’ proprio un gioco pazzo! Per dire di quanto i Leprotti fossero popolari a Milano, finimmo in pompa magna sulla “Gazzetta dello Sport”.  Arrivati in A serviva uno ‘vero’ sponsor.  Per nostra fortuna furono le ‘Maglierie Ragno‘ a supportarci per tre anni. Ebbene, “la Gazzetta dello Sport” continuo’ a chiamarci ‘Leprotti’ per tutto il primo anno di serie A, scatenando le giuste proteste del management della ditta di Borgosesia. In seguito alle proteste la Gazzetta dello Sport si adeguò.  Giocavamo le nostre partite interne su campi di calcio che si chiamavano ‘Forza e Coraggio’, ‘Giuriati’, ‘Gaslini’ ed altri ancora. Eravamo una squadra mobile.  Uno dei nostri mentori fu Lou Campo, che allora allenava l’Ambrosiana. Il campo dell’Ambrosiana era in via Rossetti, di fianco al Collegio Leone XIII, dove ci recavamo talvolta in bicicletta soprattutto per ammirare alcune ragazze avvenenti che giocavano a softball. Ricordo che in una casa di fianco all’Ambrosiana abitavano i ben conosciuti fratelli Ezio ed Aldo Cardea. Lou Campo, autore fra l’altro del famoso libretto “El brambila a la batuda” (traduzione in milanese dell’ancor più noto “Casey at the bat”), abitava in via Poliziano - dove abitava anche Giorgio Gaber - molto vicino alla canonica e spesso ci invitava a casa sua per farci giocare ad una specie di monopoli del baseball e soprattutto per insegnarci i segreti di questo meraviglioso gioco. 

E’ stato lei, dopo il trasferimento a Novara, a portare il baseball nella città piemontese. Come ci riuscì?

Nel 1965 la Pan Electric, società dove lavoravo, chiuse gli uffici di Milano e fui trasferito nella nuovissima sede di Novara. Visto che quell’anno mi ero sposato, decidemmo con mia moglie Gabriella di stabilirci nella città piemontese . Per due anni continuai a giocare nella Pirelli, la societa’ di Milano dove io ed altri ‘Leprotti‘ ci trasferimmo dopo che quest’ultimi chiusero i battenti, essendo venuta a mancare dopo tre anni la sponsorizzazione delle Maglierie Ragno. La situazione comunque divento’ insostenibile e smisi di giocare. Il baseball pero’ mi mancava molto;  il famoso debito infatti non era ancora estinto. Incontrai casualmente Francesco Chiaretti, ex giocatore del Grosseto, anche lui trasferito a Novara alla Tacchini, ed insieme decidemmo di fare un inserzione sulla pagina novarese della ‘Gazzetta del Popolo‘. Questa inserzione diceva semplicemente: “Chiunque voglia giocare a baseball telefoni al 35635 (che era allora il mio numero di casa)”. Dopo qualche giorno telefonò Paolo Bossi, che fu il primo giocatore in assoluto  di una nuova realtà dello sport novarese. Paolo bossi, casacca no. 1, ancora oggi e’ la vera mente storica del baseball novarese, autore del libro ‘I figli della lippa‘ (già presente nel Museo del Baseball a questo link http://104.248.169.46/articles/figli-della-lippa-50-anni-di-baseball-novara), uscito in occasione del cinquantesimo anniversario della fondazione del baseball club Novara (28 ottobre 1967 – 2017). Sotto la sua guida il Novara riuscì ad esordire nella massima serie nel 1976.

Quali erano i giocatori di quella squadra?

Approdammo alla serie maggiore giocando le partite casalinghe del campionato cadetto 1975 a Vercelli. Ricordo con piacere i nomi dei giocatori di quella squadra, in gran parte prodotti del nostro vivaio: Dario Pisoni, Gianfranco Zulian, Mauro Maggiora, Riccardo Barbieri, Cesare Bacchetta, Luigi Marnati, Luigi e Maurizio Faccio, Roberto Pezzolato, Mario Gaudenzio e Bernardo Borsi, Sergio Borghi, Daniele Cartesan, Italo e Antonio Fini, Rubens Ferrario, Roberto Maccari, Alberto Giovaninetti, Roberto Pitoni, Luigi Tognazzi, Alberto Fontana, Giorgio e Marco Provini e l’americano Ron Sindell, cresciuto nel Bronx e a ventidue anni in forza ad una squadra di Fort Laudendale, in singolo A.   L’anno seguente, in serie A, inserimmo in squadra i grandi ‘oriundi’ italo-americani: Rick Landucci, Tom del Sarto e Jim Fradella, consigliati dall’amico John Scolinos, leggendario coach USA nominato ‘Coach of the ’70 decade‘, nonché suocero dello stesso Jim. Sia Jim che Rick avevano giocato per Scolinos nel college ‘Cal Poly Pomona’, in California. Arrivarono anche da Milano a portare la loro esperienza Giulio Sueri, Daniele Crippa e Angelo Fontana.

A Novara non c’era ancora un “diamante”. Dove giocavate?

Per sette anni il baseball Novara, dell’allora presidente Giulio Genocchio e sponsorizzata ‘Pan Electric’ (societa’ presso cui ancora lavoravo), giocò le sue partite interne nel campo di calcio del centro sociale, concessoci gratuitamente da don Aldo Mercoli. Quando cominciammo a vincere e salendo di categoria, il centro sociale non ci bastava più. Emigrammo quindi per le partite in casa a Vercelli, Milano, Bollate e Torino. Infine nel 1979, dopo diverse petizioni ed energiche cordate, tra le quali l’occupazione dello stadio di calcio di via Alcarotti, venne costruito il campo prima  e poi  lo stadio, chiamato ‘Marco Provini’, in memoria ed onore del tecnico dell’allora settore giovanile,  scomparso prematuramente.  La prima partita al ‘Provini’ fu giocata contro il Rimini il 19 maggio 1979.  Nel 1981 fu decisa dal comune la realizzazione dell’impianto per l’illuminazione notturna, le cui spese per la verità, circa 90 milioni di vecchie lire, furono anticipate dalla società e poi rimborsate dall’amministrazione nel corso del tempo. Nel 2009 infine, in occasione del Mondiale – nel corso del quale Novara ospito’ una memorabile vittoria dell’Italia sul Giappone - lo stadio venne modernizzato ed e’ quello che tutt’ora esiste, anche se bisognoso di diversi ripristini.

Dei suoi 35 anni da General Manager del Novara, quali sono i ricordi più belli, i momenti salienti di questa lunga avventura sportiva?

Citare i momenti salienti e’ difficile, anzi impossibile. Tanti sono i ricordi felici. Certamente provo una gioia immensa ogni volta che vedo i giovani arrivare al ‘Provini’ e cimentarsi. Allora mi tornano in mente i vari Claudio Liverziani, figlio di Guido, uno dei nove fondatori del baseball Novara, i Lino Capuozzo, i Lorenzo Vada, i Luigi Faccio … e tanti altri che ho visto crescere da ragazzini e poi diventare grandi, sia come persone che come giocatori. Sono ricordi che porto nel cuore e nella mente. Indelebili. Non posso certo dimenticare alcune vittorie importanti ed alcuni eventi internazionali che Novara ha ospitato con prestigio. Il primo assoluto e’ stato un Italia–Olanda di softball, giocato al campo di atletica, gara cui giocò la nostra Adelia Valencich. Dico ‘la nostra Adelia‘ perché il baseball Novara ha gestito per tanti anni anche una squadra di softball femminile arrivata anch’essa ai massimi livelli. Il softball arrivo’ nel 1969 nel modo più strano e repentino. Alcune ragazze accompagnarono i propri morosi, giocatori del Novara, ad una premiazione a Torino e l’allora dirigente nazionale Renato Germonio le convinse a  forzare la società per creare una sezione ‘softball‘. E così fu.  Con Oscar Calcaterra e Paolo Bossi ci alternavamo tra il baseball e l’allenamento del softball, di cui per anni l’Adelia Valencich fu tra le figure più rappresentative, come del resto la Lia Bandi, che sarebbe diventata più tardi la moglie di Paolo Bossi. Tutto giocato in casa, come del resto il matrimonio tra la Valencich e Gigi Tognazzi, uno dei giocatori più noti allora del baseball Novara.  Ovviamente rimangono scolpite nella mia memoria le tre conquiste della coppa Italia: nel 1983, nel 1993 e nel 2014. Compiuti i 50 anni nel 2017 il baseball Novara esce di scena. Fortunatamente alcuni ex e altre persone vicine al baseball, hanno preso in mano la staffetta e con molta dedizione e lavoro stanno dando la sperata continuità con la denominazione di Athletics Novara.

La sua carriera di tecnico l’ha portata presto anche ad allenare la Nazionale, prima quella juniores e poi nel 1979 quella seniores. Ci racconti della sua esperienza azzurra …

Il Presidente federale Bruno Beneck mi chiamò nelle Nazionali giovanili dapprima come coach nella ‘cadetti’ e poi come manager della ‘juniores’, così si chiamavano allora. Arrivarono un paio di titoli europei con la juniores e poi nel 1979 sostituii, poco prima dell’europeo, l’amico e grande manager Silvano Ambrosioni che, scomparso il padre, doveva dedicare tempo ed energia alla guida della ditta di famiglia. Il presidente Beneck venne a Novara poche settimane prima dell’Europeo e mi convinse ad accettare l’incarico. Non fu del tutto semplice, la rosa era praticamente già costituita. Inserii solo qualche giovane promettente della ‘mia’ juniores. Vincemmo l’Europeo battendo nelle cinque partite di finale (in realtà ne bastarono tre) la forte Olanda di Han Urbanus. Non fu una cosa semplice e fummo costretti a superare diverse difficoltà, tra le quali una chiara protesta di una parte del pubblico di Trieste verso la presenza di diversi ‘oriundi‘ in Nazionale. Ricordo come fosse oggi di aver visto piangere la sera nella sua camera d’albergo Bob Ciccone, mi diceva: “A New York mi chiamavano ‘sporco Italiano’ e qui adesso mi urlano ‘sporco americano’, ma io mi sento Italiano al 100%!”. In realtà molti italo-qualcosa di allora venivano a giocare in Italia puramente per sbarcare il lunario, ma altri invece venivano a cercare in Italia le loro origini, dimostrando il loro orgoglio. Alcuni sono rimasti in Italia per il resto della loro vita. Nel 1980 giocammo un ottimo mondiale in Giappone, battendo tra l’altro gli USA del grande pitcher Frank Viola e, grande combinazione, del manager John Scolinos!  Le soddisfazioni più grandi me le diedero Mike Romano, con tre vittorie in tre partite da partente, e Di Marco, quando lo misi sul monte contro gli USA, buttando nel cestino la rotazione dei lanciatori visto che il partente designato mi aveva confessato la sera prima il suo timore a salire sul monte contro ‘le stelle e strisce‘. Bene anche il ventenne Gianmario Costa, quando lo dovetti inserire in terza proprio con gli USA al posto di John Cortese, letteralmente distrutto da un errore commesso contro il fortissimo Giappone, che ci costò probabilmente una vittoria decisamente sorprendente. Ottimo l’apporto anche di John Cortese, ritornato in squadra nell’ultima partita del mondiale, autore di due lunghissimi fuoricampo nell’eclatante vittoria per 19 a 1 contro il Portorico. L’anno dopo invece perdemmo l’Europeo in Olanda contro i padroni di casa e Beneck mi siluro’, ignorando tutta una serie di circostanze (infortuni e arbitraggi) che condizionarono non poco il torneo. Ma Bruno era fatto cosi’, e io mi trovavo in sintonia con le sue decisioni anche se a volte bruciavano.

Poi è stato alla guida della nazionale spagnola. Il baseball iberico ha sempre sofferto in Europa del dominio italo-olandese; che situazione c’era quando ha preso le redini delle furie rosse? 

Miguel Ortin, allora Presidente della Federazione spagnola, mi stimava e mi chiamò nel 1983 ad allenare la loro Nazionale juniores. All’Europeo seniores dell’84, che si giocava proprio in Spagna, successe di tutto nel team iberico: orge nelle camere d’albergo, irruzione della polizia … ed altro ancora. Il manager olandese Hamilton Richardson fu sollevato dall’incarico e i giocatori coinvolti furono penalizzati con l’esclusione dalle squadre nazionali. Fu così che Miguel mi chiamò chiedendomi di prendere in mano una situazione decisamente complicata. Accettai con l’obiettivo di qualificare la Spagna per i mondiali in Italia del 1988, qualifica che alla Spagna non era mai riuscita in precedenza. La qualificazione passava attraverso gli Europei del 1987.  Costruii la ‘nuova’ Nazionale iberica attingendo dalla squadra juniores che avevo allenato precedentemente. Riuscimmo nel nostro intento battendo il Belgio per la finale del terzo posto e pertanto, come da me programmato, mi accomiatai da Felix Cano & company al termine del mondiale. Ricordo, come fosse oggi, l’emozione provata a Firenze, quando la Spagna incontrò l’Italia nell’opening game del mondiale. Ricordo la stretta di mano a casabase con Silvano Ambrosioni, lui in azzurro ed io in “rojo”. Fu una sensazione straordinaria, quasi surreale, indimenticabile.

La sua passione e l’esperienza internazionale ha indotto la Major Leagues a incaricarla di essere promotore di questo sport in Paesi ancora in fase di sviluppo, come il Portogallo, la Slovenia, la Croazia, l'Ungheria … insomma, è diventato una sorta di alfiere. Lei crede, nonostante l’incessante lavoro promozionale della WBSC e la crescita dell’attenzione mediatica, che il baseball e il softball siano ancora destinati all’espansione?

Allora la Major Leagues aveva istituito “l’envoy coach program” per dare supporto ai Paesi dove il baseball si stava sviluppando e pertanto fui designato a divulgare il “verbo” in vari Paesi europei, quelli che hai elencato nella domanda. Furono esperienze diverse da Paese a Paese. Ricordo in particolare quella in Portogallo, dove c’era un giovane Presidente della Federazione, molto ambizioso, forse troppo nei miei due anni di esperienza in quel Paese scoprii che c’erano due filoni: quello portoghese e quello luso-venezuelano, gestito da persone che avevano conosciuto ed imparato il baseball durante il loro percorso lavorativo in Venezuela, cercando poi di trapiantarlo in patria, specialmente in città come Loulè e Aveiro, la “Venezia lusitana”. Non c’era molta intesa fra le due correnti e il presidente successivo, la bravissima Sandra Monteiro, si adoperò per una comunione di intenti. Oltre che di Sandra ho conservato un ottimo ricordo di due fratelli: Sergio e Bruno Medeiros, anime del baseball di Coimbra. In aggiunta alle esperienze come “envoy coach” della MLB, ricordo con grande piacere quelle legate alla ‘World Children Baseball Fair‘, dove andai due anni, 1995 e 1996, come coach mandato dall’allora Federazione mondiale IBAF. Feci una presenza altrettanto significante in Iran, ospite per un paio di settimane con Roberto Marchi, della nascente Federazione iraniana. Io avrei dovuto impartire futuri tecnici e Roberto futuri arbitri. Forse non tutti sanno cos'è’ la ‘World Children Baseball Fair ‘.  La WCBF e’ una fondazione voluta e creata nel 1992 dai grandissimi Hank Aaron per gli USA e Sadaharu Oh per il Giappone. L’intento era cancellare l’astio creato dai loro paesi durante la seconda guerra mondiale. Ogni anno dunque circa 120 ragazzi di 10/11 anni, in gruppi da 7/8 per ogni nazione, vengono ospitati per una decina di giorni in una località giapponese per giocare a baseball la mattina, sotto la guida di coaches internazionali, e fare turismo/cultura/divertimento nel pomeriggio. Fino a qualche anno fa inoltre la WBCF invitava, tutto spesato, una quindicina tra i più famosi ex-professionisti USA per giocare una partita dimostrativa contro una selezione di ex professionisti giapponesi, avendo come soli spettatori i ragazzi, i loro accompagnatori e tutto lo staff organizzativo. Anche Joe Di Maggio fu ospite d’onore a Gifu City nel 1995 ed io ebbi l’onore di poter dialogare con lui in quei magici giorni. Conobbi ovviamente anche Hank Aaron, Lou Brooks, Ozzie Smith, Harmon Killbrew, Duke Sneider e tanti altri.

Lei nutre ancora dei sogni, realizzabili o non, legati al baseball? E in particolar modo al baseball Italiano?

Una vecchia canzone diceva ‘i sogni son desideri chiusi dentro al cuor‘. Anch’io ne ho nel mio cuore e qualcuno riguarda ancora il baseball, ed anche il softball. Il più grande è quello di vederli tornare come sport di base per i ragazzi e le ragazze. Chi non ricorda i ‘Giochi della Gioventù’ e tante altre iniziative dove il baseball ed il softball erano protagonisti? Dove sono finiti? Perché’ l’attenzione è solo dedicata agli sport dei grandi? E mi sembra inutile dire quale sia questo sport in Italia! A vedere le finali per il titolo Italiano di calcio delle categorie giovanili ci sono solo scouts e genitori, alle partite della Little league in USA della categoria ragazzi ci sono migliaia di  persone. Eppure di sport professionistici ne hanno anche loro, e più di noi! Quand'è’ che capiremo che lo sport, se ben gestito, rimane per i giovani uno dei pochi baluardi, se non l’ultimo, dove si apprende la disciplina e si impara a vivere, a saper vincere e saper perdere, ad essere corretto quando sbagli, punito quando infrangi le regole, fortificato fisicamente e sentimentalmente!

Ci potrebbe rivelare, ruolo per ruolo, il suo “best 9” della sua carriera? E’ una domanda di rito, che aiuta chi consulta il “museo del baseball” a ricostruire la geografia storica di questo sport …

Sul monte di lancio: Giulio Glorioso, Romano lachi, Mike Romano, Ray Chadwick, Ed Vosberg.  Dietro il piatto: Gigi Cameroni, Giorgio Castelli, Roberto Bianchi, Alex Giorgi, ed Orizzi e soprattutto ‘Cabrito’ Carlos Guzman.  Prima base o esterno: Claudio Liverziani. Punto e basta.  Interni: Ruggero Bagialemani, ‘Nezi’ Onesimo Balelo, Vic Luciani e ‘Toro’ Rinaldi. Utility: Danny Newman. 

Quali sono gli insegnamenti più grandi che questo sport le ha regalato? E i consigli che ne ha potuto maturare? Ce li dica come delle pillole zen!

1.FORZA di carattere 2.IMPARARE a vincere perdendo 3.TROVARE una soluzione (sempre possibile!) 4.GETTARE il cuore oltre la siepe! Ovvero superare l’ostacolo sapendo pero’ come andare a riprenderlo.  La Federazione Italiana ha avuto nella sua storia Presidenti – Beneck, Notari, Fraccari – che hanno fatto di questo principio un dogma. Proprio Riccardo Fraccari, nella sua attuale presidenza mondiale della WBSC, lo sta ampiamente dimostrando. Nella mia vita sono sempre stati presenti tre fattori primari: la famiglia, il lavoro e il baseball. Ho sempre cercato di dare il 100% in ognuno dei tre, cercando sempre di tenerli ben separati, al fine di evitare spiacevoli interferenze. Forse non sempre ci sono riuscito e in qualche anno la mia famiglia ne ha sofferto. Però, se devo essere sincero, rifarei tutto da capo. Gli errori nei fondamentali di gioco e nei fondamentali di vita, si installano dentro di noi negli anni giovanili. Per correggerli ci vuole tanta volontà, ottimi maestri e anche un pizzico di fortuna. 

Se dovesse descrivere il baseball nella maniera più poetica possibile, quali parole userebbe?

Il baseball e’ una bella giornata che torna in primavera, che rifugge il maltempo, e che si corica in autunno. Anche la vita e’ cosi’. La primavera e’ la gioventù, il maltempo sono gli ostacoli e le delusioni. E l’autunno prima o poi arriverà, per ognuno di noi.

Sito realizzato e mantenuto dallo staff del Bar Del Baseball