Marcucci Tonino
Nato nel 1927, ha disputato dieci anni ad elevato livello col Nettuno, 4 scudetti, campione d’Europa ad Anversa 1954 (miglior ricevitore del torneo); capitano del leggendario Nettuno di Mc Garity. Eccezionale in difesa in batteria con Tagliaboschi, scrisse pagine memorabili nella storia del baseball italiano. Con sei compagni di squadra partecipò alla prima partita disputata dalla nazionale italiana contro la Spagna, collezionando poi altre 4 presenze in azzurro. Scomparso prematuramente ha lasciato una traccia indelebile nel baseball che ha intitolato al suo nome il premio al giocatore più utile del campionato.
MARCUCCI IL CATCHER DELLA LEGGENDA – di Giovanni Alberti
Stretto tra le labbra ancora un requiem nel mondo del baseball italiano. Il cielo livido di pioggia di uno struggente pomeriggio di febbraio, Tonino Marcucci, in punta di piedi, con dignità e pudore ci ha lasciati così. Via Sangallo, la collegiata di S. Giovanni, piazza Mazzini, la triste via di S. Maria. In fondo laggiù oltre i cipressi c’è già una croce, da lontano graffianti, giungono i clamori di un carnevale che mascherava le sue illusioni. Nettuno sportiva e non si chiude come una conchiglia, molte lacrime asciugate in fretta prima che la pioggia le trascini via. Con Tonino Marcucci se ne va una fetta di quel Nettuno che già si veste di leggenda. Negli occhi come in un film, il campo di Villa Borghese, le vecchie divise da far invidia a Fantozzi, valigie cariche di pane e speranze, ma anche di vittorie e scudetti; Nettuno sulla bocca di tutti. Nel teatro greco la storia dell’eroe la raccontava il coro, di Tonino Marcucci ce ne hanno parlato l’uomo della stada, lo sportivo, la gente che conta, in una commovente rievocazione della sua umana avventura.
Dieci anni di attività sportiva ad altissimo livello. Quattro scudetti vinti per il Nettuno, campione europeo ad Anversa nel 1954 dove fu proclamato miglior ricevitore del torneo, un ruolo che ha interpretato in modo insuperabile per ben dieci anni. Il Nettuno di mister Mac Garity aveva in lui l’alfiere, il capitano, il regista. In un’Italia che si curava le ferite della guerra il carretto carico di ferro vecchio portato a vendere da Marcucci e compagni per pagarsi le trasferte è un episodio che non ha bisogno di commenti ed un esempio luminoso per le nuove generazioni. Al di là dei successi nello sport entra nella leggenda la figura di un personaggio di una incredibile umanità. Un vero gentleman dello sport e della vita. Al suo ricordo i commenti più diffusi sono quello di “pezzo di pane” un “vero signore” “ha fatto dei favori a tutti in modo disinteressato”. Per rendere ancora più completo questo commosso omaggio alla sua memoria abbiamo parlato con chi lo ha conosciuto. Trascriviamo senza retorica i brevi profili che abbiamo raccolto scegliendo i più significativi.
CAPPELLA – Dottore della squadra ed ex dirigente: “Un uomo eccezionale, poche persone ho conosciuto così altruiste, educate, generose. Un vero signore. Nel Nettuno e nella nazionale era il faro. Normale in battuta eccezionale in difesa. Un vero fuoriclasse a suo tempo”.
FARAONE GIAMPIERO - “Il miglior ricevitore italiano che ho conosciuto. Grande visione di gioco; pupillo di McGarity. Umanamente un signore. All’inizio della mia carriera mi ha dato ottimi consigli. Ha fatto del bene a tutti”.
TAGLIABOSCHI CARLO - Compagno di batteria: “Serio, buono, indimenticabile. Ho vissuto una vita con lui. Dai trionfi di Anversa, ai giardini di Milano dove dormivamo sulle panchine dopo la gara. Potrei raccontare un romanzo. L’ho rimproverato di una cosa: di essere troppo buono con tutti”.
ROSATI AUGUSTO – Compagno d’infanzia: “Un signore nel vero senso della parola. Credeva nell’amicizia come nessuno. Per la squadra era il paciere, l’amico, quello al di sopra delle parti”.
BORGIA FERDINANDO – Compagno di squadra: “Lo conobbi nel ’44 quando giocava a softball nella Polizia di mister Fasano. Era la vera guida della squadra. Guidava l’estroso Tagliaboschi come nessuno. Completo nel gioco, eccezionale in difesa dove in Europa non aveva rivali. Come uomo era di una bontà unica”.
PIETRO SIBIGLIA – Tifoso: “L’ho visto debuttare al campo di Villa Borghese. Mi è rimasto impresso come riusciva ad eliminare gli avversari prendendo le palle sprizzate. Per dieci anni è stato l’uomo bandiera del Nettuno d’oro”.
DI COLA - “Un vero signore nello sport e nella vita, sempre distinto nelle relazioni in campo e nel lavoro. Lascia un’impronta ed un vuoto difficilmente colmabili”.
Venuto a conoscenza (gioia e dolori del paese) di questo nostro pezzo per Marcucci, suona alla porta un signore. Capelli brizzolati, sguardo profondo, una voce dolce e commossa. Dopo averci parlato di lui, dal portafoglio esce il ritaglio di una fotografia ingiallita e consunta. Un titolo: il braccio e la mente, inconfondibili Tagliaboschi e Marcucci. Non abbiamo avuto il coraggio di chiedere quella foto per il nostro giornale. Mentre ripiegava amorevolmente come una reliquia ci ha detto: “Non ho potuto partecipare al funerale perché ero all’ospedale dove mio figlio è ricoverato per una operazione. Tonino capirà da lassù…”.