Ruth George Herman "Babe"
“Babe”, il Bambinone, nasce a Baltimora nel 1895. Gioca 2546 partite in Major Leagues, tra regular season, World Series e All-Star Games. Considerato all’unanimità il più grande giocatore di baseball della storia, al momento del suo ritiro Ruth avrà infranto 54 record, molti dei quali tuttora imbattuti. Ha iniziato la carriera come efficace lanciatore (in carriera 94 W – 46 L con una ERA di 2.28) per poi assestarsi come esterno e prima base. Presentatosi al box di battuta per 8531 volte, ha battuto valido 2873 volte con 2213 RBI e 714 homerun (terzo All-time dietro Hank Aaron e Barry Bonds) di cui 60 in una singola stagione (8° prestazione All-time). La sua media battuta vita è una straordinaria .342 (con un massimo stagionale di .393).
Cresciuto in un istituto cattolico per ragazzi problematici, il Santa Maria, si mise in luce da giovanissimo con la squadra parrocchiale a suon di fuoricampo e vetri rotti, per la disperazione dei tutori religiosi, tanto che padre Mattia, il suo tutore personale, al quale rimarrà legatissimo e devotissimo per tutta la vita, lo convinse a diventare lanciatore, così almeno non avrebbe rotto altre finestre dell’istituto. La leggenda dice che furono i giocatori dei Baltimora Orioles – che allora giocavano in una minor league ora scomparsa – a soprannominarlo “Babe”; infatti il giovane George Herman iniziò a pedinare il manager della squadra di Baltimora, Jack Dunn, pregandolo di fargli un provino. Allora i giocatori della squadra iniziarono a prendere in giro il loro allenatore, dicendo: “Ecco Jack con il suo bambino!”.
Dopo aver giocato un po’ con gli Orioles, il pupillo di Dunn, ormai abituatosi come lanciatore, fu ingaggiato nel 1914, a soli 19 anni, dai Boston Red Sox, dell’American League. Dopo alcuni stupefacenti exploit in attacco, il manager dei Red Sox, Ed Barrow, decise di farlo battere sempre, anche nelle partite che iniziava come lanciatore partente, ed ebbe ragione perché nel 1919 Babe esplose: 29 pepitoni, record fino ad allora, numero lievitato a un incredibile 54 la stagione successiva. Ruth divenne famoso in tutta America come il “Re dei Fuoricampo”, talmente famoso da sfiorare la popolarità del Presidente (basta pensare alle 20.000 lettere che riceveva ogni giorno!).
L’ultimo homerun Ruth lo battè a 48 anni, record tuttora reggente. Noto per il suo carattere estroverso, strafottente, dedito alle donne, all'alcol, al cibo, e poco incline all’allenamento, il Bambinone portò i Red Sox a 3 vittorie nelle World Series, nel 1915, 1916 e 1918, ma nel 1919, ingolositi dalla cifra offerta, i Red Sox lo cedettero agli arci-rivali Yankees di New York. Ruth inizialmente non la prese benissimo, tanto da scagliare sulla sua ormai ex squadra una maledizione bella e buona, la cosiddetta Curse of the Bambino – la Maledizione del Bambino. Forse è stata solo una coincidenza, ma i Red Sox impiegarono ben 86 anni per rivincere il titolo e spezzare – nel 2004 – la maledizione più famosa della storia del baseball.
A New York Ruth vinse 4 World Series (’23, ’27, ’28, ’32) contribuendo a un immane successo di pubblico e popolarità, tanto da costringere la società a costruire un nuovo e più ampio stadio, lo Yankee Stadium. Nel 1934 Ruth, ormai stanco, appesantito e semi-alcolizzato, tornò a Boston, ma non nei Red Sox, che aveva maledetto, bensì nei Braves, con i quali nel 1935 concluse una carriera leggendaria, che comprendeva anche l’MVP della American League nel 1923.
Babe Ruth – come Fausto Coppi o Gino Bartali in Italia – è stato uno dei personaggi, non solo sportivi, più amati dagli americani in tutto il Novecento. Inserito dalla Mlb nell’All-Century Team (la formazione ideale del secolo), un anno prima di morire, nel 1947, già molto ammalto, volle dare un commosso addio al suo pubblico. Allo Yankee Stadium – the house Babe Ruth built – c’erano 70.000 persone a salutarlo in lacrime. Il cardinale e arcivescovo di New York, mons. Francis Joseph Spellman, in un accorato discorso disse: “A te o Signore, noi ci rivolgiamo oggi e preghiamo: sii lo spirito dei nostri sport, la fonte della nostra ispirazione spirituale e della nostra nazione, così come noi onoriamo in questa occasione, un eroe del mondo dello sport, un campione dal gioco leale e una luminosa guida della gioventù d’America!”. Spellman in realtà era di Whitman, Massachusetts, e quindi aveva i Red Sox nel cuore, ma questo a Babe credo non lo disse mai.