Willsher Chris
Nato il 30 ottobre 1960 ia San Carlos, California (USA)
Intervista di Ignazio Gori
Quando si parla di baseball è come se si parlasse d’amore. La tua storia d’amore col baseball quando è iniziata?
CW. Ho iniziato col baseball circa a sei, sette anni, a San Carlos, California. Ricordo che giocavo le mie partitelle al Burton Park. Ci restavo tutto il giorno, finché c’era luce per giocare e poi facevo anche il batboy per i ragazzi più grandi. Davo una mano anche allo snack bar.
Quali sono i tuoi ricordi più cari del tuo periodo giovanile?
CW. Ho così tanti ricordi che è difficile dirlo … Ho vinto un titolo di Little League … ho giocato le finali statali nella “Joe Di Maggio League” … sono stato inserito negli All-Stars di Stanford all’età di sedici anni ... poi sono stato scelto dagli Orioles e ho lanciato una no-hitter al mio primo anno.
Mica male, complimenti! Com’è andata la tua carriera nella Minors?
CW. La mia carriera nelle Minors, come quella della maggior parte dei giocatori, è stata un saliscendi vorticoso. Ho dovuto fare i conti con la mia incostanza e con i molti infortuni. Ho avuto molti veri amici e ho lanciato per Earl Weaver1 in qualche gara di esibizione; speravo di entrare nel “roster dei 40” degli Orioles prima che mi infortunassi e così salire dal Doppio A. Ma è stata dura. Molte volte ho lanciato da infortunato, provando dolore, perché è questo il vero spirito delle Minors, devi mettercela tutta per emergere. Io ho amato la competizione spietata e posso dire che non mi sono mai tirato indietro.
Come sei arrivato a Nettuno?
CW. Sono arrivato a Nettuno dopo l’esperienza nell’organizzazione degli Orioles, tramite Alberto e John Noce che fu il mio allenatore – un grande conoscitore del baseball – al Junior College. Credo fosse il 1987. L’atmosfera era davvero bella ed ero felice di far parte di questa nuova famiglia. Rimasi un poco scioccato dal cambio di cultura ma il livello di gioco era buono. C’era molto entusiasmo e amore per il gioco. Mi piacevano i compagni di squadra, lo staff degli allenatori e il calore dei tifosi e se fosse dipeso solo da me sarei volentieri rimasto a Nettuno per almeno cinque stagioni … Ricordo la bella vittoria a Bologna per 1-o, poi ancora la spettacolare vittoria a Grosseto, e anche della partita lanciata a San Marino mi è rimasto un bel ricordo.
Conoscevi il campionato italiano prima di venire a Nettuno? Qualcuno te ne aveva parlato?
CW. Non sapevo di questo campionato finchè John Noce non me ne parlò. Io ero interessato più che altro al Giappone, al Messico, all’Olanda e al Venezuela, tutti ottimi campionati. Ma ora, ripensandoci, sono felice di aver giocato a Nettuno, di aver conosciuto il baseball italiano. La stagione fu eccitante, arrivammo ai playoffs e superammo il primo turno. Era davvero divertente la competizione nelle gare in cui lanciavano gli americani e gli italiani erano dei grandi, tenaci competitori. Ricordo quando ero nel bullpen con Lenny Randle, German Shepard e gli altri rilievi meno bravi ma tutti agguerriti, in quegli stadi molto belli, pieni di pubblico entusiasta. Ricordo con piacere ogni attimo. Mentre il bus correva su e giù per l’Italia, si giocava a carte, e nelle pause mi godevo fuori dal finestrino i paesaggi bellissimi del vostro paese.
Vorresti elencarci giocatori più forti contro o con i quali ti è capitato di giocare?
CW. Mi è capitato di giocare con delle vere leggende del baseball: Mark McGwire, Will Clark, Lenny Dykstra, Phil Niekro, Kevin Mitchel, Darryl Strawberry, Dwight Gooden, Fred Macgriff, Cal and Billy Ripken … Ho incontrato anche Hank Aaron, Nolan Ryan, Pete Rose … e molti altri. Ma non sono stato solo a guardare, mi sono anche preso delle belle soddisfazioni, come la medaglia d’oro ai Nike World Games del 1992.
Potresti compilare il tuo personale All-Star team? Usando ovviamente i giocatori che hai conosciuto sul campo …
CW. Dwight Gooden, Darryl Strawberry, Will Clark, Mark McGwire, Cal Ripken, Eddie Murry, Barry Bonds, Fred Mcgriff, Jim Palmer, Mike Norris …
Hai mai avuto una reale chance di salire in Major League?
CW. La mia uniche esperienze in Mlb sono state un camp, qualche partita di esibizione e ho giocato anche per i Texas Rangers nel 1994, quando ho lanciato nel nuovo Arlington Stadium.
Dopo la fine della tua carriera sei rimasto amico e in contatto con alcuni dei tuoi compagni di squadra?
CW. Certo, sono tuttora in contatto con alcuni amici tramite i social networks. È stata organizzata anche una reunion della squadra di Charlotte che ha vinto il campionato di Doppio A; fu in occasione dell’inaugurazione del nuovo stadio locale. Mi sento spesso con Ken Dixon, Carl Nichols, Billy Ripkin, Jeff Schaefer, Tony Lonero, proprio da Nettuno, Gary Davenport, anche lui ha giocato a Nettuno, e poi Bob Mariano di Anzio... che ha allenato nelle divisioni minori in Italia. E poi i Noce, Doug Robb, Mike Stubbins … e altri amici italiani con i quali parlo su Facebook.
Si dice che giocare nelle Minors sia avventuroso. Ricordi fatti particolari, strambi aneddoti?
CW. Ho girato uno spot pubblicitario con Barry Bonds per uno show televisivo chiamato “Nash Bridges” … poi ne ho girato un altro con il vecchio manager dei Giants Roger Craig. Ma potrei scrivere una bibbia sulle stramberie delle Minors, basta pensare che ho giocato nello stadio dei Bull Durham (sì, quelli del film) almeno 100 volte … Ricordo che Joc Pederson, che ora gioca nei Los Angeles Dodgers è stato il mio batboy, Lenny Harris che ha avuto una buona carriera da utility nella Mlb è stato il batboy quando ero nell’organizzazione dei Miami Marlins. A proposito di Miami, ricordo che nel 1981 ci fu una terribile rivolta. Per non parlare degli uragani, sempre in Florida, e poi l’intero stadio bruciato in Doppio A. Da quando ero rookie fui allenato per quattro stagioni da Grady Little, che ha allenato i Red Sox e i Dodgers, grande e curioso personaggio … e poi ancora quattro piedi d’acqua negli spogliatoi a Bluefield in West Virginia … Le Minors sono una giungla, ma sembra che non si possa fare a meno di quella puzza!
Abbiamo da poco inaugurato un “Museo del Baseball Italiano”. Cosa ne pensi?
CW. Sono contento perché i tifosi e gli appassionati italiani se lo meritano. Un museo è sempre importante, soprattutto in questo caso, perché include gli americani, gli ex patrioti e i soldati che hanno e supportato il baseball in Italia sin dalla fine della guerra. Credo che questa vostra iniziativa sia un grande veicolo per preservare una parte della storia del vostro paese, una testimonianza sempre viva, aperta, capace di stimolare futuri giocatori, allenatori e chiunque si occupi di questo sport in Italia. Spero un giorno che possa venire aperto anche al pubblico, in quel caso sarei onorato di vedere esposto il mio contributo.
Chris, tu credi che uno sport universale come il baseball possa in qualche modo guarire le tensioni razziali, come quelle che in questi giorni stanno offendendo l’immagine degli Stati Uniti?
CW. La differenza sociale e le tensioni razziali negli Stati Uniti sono deplorevoli. Da parte mia rispetto la gente di ogni razza e religione e tratto gli altri come vorrei io stesso essere trattato. Da sempre difendo nel mio piccolo i Diritti Umani Universali. Ma non sono d’accordo con quei giocatori, di qualsiasi sport, che non hanno rispetto per la bandiera. Ad esempio, chiunque entri nel Cimitero Americano Militare di Nettuno dovrà essere conscio di che tipo di sacrificio hanno fatto le persone che lì sono sepolte; anche se quella non è la tua bandiera, si deve portare massimo rispetto. Io credo che molti atleti siano viziati e si ergono su un falso piedistallo; questo non è il giusto esempio da seguire. Per questo preferisco lo sport amatoriale e collegiale, scolastico. L’amore e il rispetto per il gioco è più alto in Italia, come in altri campionati minori; i giocatori spesso lavorano tutta la settimana per salari bassi, giocando solo due o tre partite settimanali, restando lontani dalle proprie famiglie. Tutto questo per me è “puro amore per il gioco”!
Ti manca il diamante?
CW. Io vivo quotidianamente l’amore per il baseball, lo respiro. Mi manca davvero molto il monte di lancio, nonostante abbia smesso di lanciare a 46 anni. Ho due ragazzi, di 14 e 12 anni, che giocano e cerco di trasmettere loro un sentimento di lealtà e correttezza. Io mi diverto ad allenare e insegnare i fondamentali del lancio ai giovani atleti della High School, nella Sacramento Valley Area, così come li invoglio a studiare e a frequentare l’università.